Con la mia voce prego gli spiriti e i superiori lumi
collective installation – site specific
complesso monumentale di San Domenico Maggiore, sala San Tommaso, Napoli IT
variable dimension
2014

 

„what is light?“ Far from seeking to clarify things, light, in the work of Gianmarco Biele, Vito Chianca and Alessandra Donnarumma, is instead a relationship of elements, that is, an immaterial object that connects, in an essential or accidental way, contents of thought.

Mario Francesco Simeone

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Con la mia voce prego gli spiriti e i superiori lumi

Se le parole potessero parlare con voce propria, avrebbero tante storie interessanti da raccontare.Con il passare delle epoche, alcuni termini sono destinati a scomparire e, insieme a essi, i mondi e i concetti a cui si riferiscono. Altri, forse la maggior parte – ma è un calcolo meraviglioso e impossibile – subiscono un destino più mite, rifunzionalizzati in ambiti diversi, interpretati secondo nuove teorie, incrociati con prefissi e suffissi. È un processo fisiologico, necessario, perché quando in una parola avvengono tali cambiamenti, vuol dire che il linguaggio, cioè la conoscenza, ha ancora bisogno di quel significato, di quel simbolo, della gestualità legata a quella specifica idea percettiva. 

In ogni caso, possiamo essere abbastanza (in)sicuri della latenza di un termine che, da alcuni secoli, fa discutere filosofi e astronomi, opponendo matematici e teologi, religioni e mitologie. Ciò che James Clerk Maxwell e Henrik Hertz riconobbero come porzione dello spettro elettromagnetico compresa tra 400 e 700 nanometri di lunghezza d’onda e visibile dall’occhio umano, per la filosofia classica era forza attiva della bellezza, forma incorporea e puramente spirituale della corporeità. Volendo porre il problema in via diretta basterebbe chiedersi: “cos’è la luce?”

Lungi dal voler chiarificare le cose, la luce, nel lavoro di Gianmarco Biele, Vito Chianca e Alessandra Donnarumma, invece, è relazione di elementi, cioè oggetto immateriale che collega, in maniera essenziale o accidentale, contenuti di pensiero. Allora, c’è una data, 15 ottobre 1272, giorno della fondazione della Scuola di Tommaso D’Aquino, e un luogo, la sala dedicata all’aquinate nel Complesso Monumentale di San Domenico Maggiore. Un fascio luminoso ibrida questi elementi e proietta, sulla volta della sala, la mappa del cielo di Napoli, come visibile in quella lontana serata di metà ottobre, aprendo la solidità dell’architettura alle forme altre degli eventi, ai movimenti impercettibili degli astri. 

Tutto parte da una notazione geometrica, una piramide tronca capovolta, simbolo del processo della conoscenza che si estende sulla realtà visibile e oltre, come indicato, nel De coniecturis, da Nicola Cusano: “raffigurati una piramide di luce che avanza nelle tenebre, e una piramide di tenebre che avanza nella luce e riporta a questa figura ogni problema su cui stai indagando in modo che, guidato sensibilmente quasi per mano, possa rivolgere la tua congettura ai segreti più arcani”. La luce, per l’astronomo e filosofo tedesco vissuto nel XV Secolo, e prima di lui, per Tommaso D’Aquino, dalla cui eredità concettuale attinse a piene mani, non era solo fonte mistica ma invito al viaggio del sapere, ragionamento che procede per analogia e veicola il rapporto tra effetti e cause. Dunque, nella mentalità percettiva del Medioevo, fortemente legata all’interpretazione simbolica, l’alternanza visibile della luce e della tenebra era manifestazione della partecipazione dell’uomo e della natura alla in-forma di Dio, che era luce piena. Tommaso, così, introduceva una differenza terminologica sostanziale, che si è poi persa, tra il sostantivo neutro lumen, che era misto alle tenebre, come qualità dei corpi naturali, e la luce piena, divina e senza tempo perché esente dalla circolarità mattutina e vespertina. Proprio attraverso la percezione di questa successione, però, la creatura poteva cogliere l’intervento perfetto della divinità nelle cose.Nella concezione medievale, infatti, la natura era un campo ordinato, dove tutte le cose erano vicine alle altre e si offrivano disponibili alla conoscenza, come efficacemente espresso, nel Didascalicon, da Ugo di San Vittore, all’inizio del XII Secolo: “Tutta la natura parla di Dio, tutta la natura ammaestra l’uomo, tutta la natura genera una intelligibilità: non c’è nulla di sterile nell’universo”.Nelle opere medievali, che riflettevano una scienza deduttiva e un atteggiamento sillogistico, il reale procedeva, senza imprevisti, in una direzione univoca. Nell’idea, quindi, di una creazione buona, dove tutto acquistava significato, tutto era degno di essere conosciuto perché rivelava qualcosa del Creatore. Il gioco simbolico del Medioevo è racchiuso tutto nella somiglianza, che metteva il relazione corpi e forme diversi e lontani, secondo un processo analogico e finito, il cui motore ultimo era Dio. Per questo, Suger, Abate di Saint Denis dal 1122 al 1151, osservando le preziose decorazioni da lui commissionate per la sua maestosa cattedrale, poteva scrivere: “chiunque tu sia se vuoi celebrare la gloria di queste porte, non ammirare né l’oro né la spesa, ma il lavoro dell’opera. Riluce la nobile opera, ma l’opera che nobilmente riluce illumina le menti per modo che esse possano procedere, attraverso vere luci (per lumina vera), alla luce vera (adverum lumen) dove Cristo è la vera porta. Come esista nelle cose del mondo lo dimostra l’aurea porta: la cieca mente si innalza al vero attraverso ciò che è materiale e da oscurata che era si leva al vedere questa luce.”

Una concezione che non piaceva a Bernardo di Chiaravalle, cultore del silenzio, dell’ascetismo e della frugalità ma che era ripresa dagli astronomi e dai fisici del tempo, i quali, interpretando le teorie aristoteliche, credevano che dalla luce del sole, diffusa dagli astri, si originassero tutte le forme della vita, compreso l’essere umano. La potenzialità creativa, racchiusa ma latente nella materia, viene attualizzata dalla luce propagata dal movimento dei corpi celesti, generando la vita che, così, era influenzata direttamente dai cieli. 

Dopo dieci Secoli, nella contrazione dello spazio fisico della volta della Sala San Tommaso, la luce evoca un giorno, un mese e un anno, nella forma del cielo, paradosso ottico per eccellenza. Il reticolo luminoso delle stelle è linguaggio degli uomini, mappa cronologica degli eventi cartografata oltre la storia, oltre la porosità della cose. Puntando lo sguardo in alto, dove la luce e la sua assenza si alternano, non conoscendo numeri, materiali, parole. 

Mario Francesco Simeone

 

 

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  • 2014 – OLE.01 Festival internazionale della Letteratura Elettronica. Complesso monumentale di San Domenico Maggiore, Sala San Tommaso, Napoli IT